Marco Parenti

a cura di Angela Madesani

22 maggio – 21 giugno 2025
da giovedì a domenica, 10:00-13:00 e 14:00-18:00
inaugurazione: sabato 24 maggio ore 18:00

Marco Parenti lettore di immagini

di Angela Madesani

Giuseppe Turroni in un importante saggio1 del 1959, sottolineava che la fotografia italiana di ricerca arrivava dal mondo dei professionisti, medici, avvocati, commercialisti, che nel corso della vita quotidiana si dedicavano ad altro. La fotografia era per questi ultimi un diletto che, tuttavia, diveniva nel corso degli anni una pratica autoriale, così era stato per i Cavalli, i Finazzi, i Ferroni, gli Orsi, i Parmiani e per molti altri. Mutatis mutandis, con tutta l’acqua che è passata sotto i ponti negli ultimi settant’anni, Marco Parenti potrebbe essere ascritto a questa tipologia di fotografi.

Sin da ragazzo, negli anni Settanta, vorrebbe dedicarsi all’arte, che respirava in casa come passione e talvolta come mestiere2, iscriversi all’Accademia di Brera, frequentare un mondo che lo attrae. Tuttavia al momento di scegliere viene spinto verso una strada più sicura, una laurea in Biologia che lo porta a specializzarsi in Farmacologia e a intraprendere la carriera universitaria. Nel corso degli anni collabora spesso con psichiatri, interessato al connubio tra scienza e umanesimo, affascinato dalla mente umana. Come molti, sin da giovane, si interessa alla fotografia, ma la sua non è una passione tecnica per la camera oscura, piuttosto lo affascinano la potenzialità dello sguardo, la possibilità di esplorare i fenomeni. Fondamentale per la sua formazione è il soggiorno di due anni negli Stati Uniti, durante il quale scopre altri paesaggi, un’altra estetica. È affascinato dal colore, dalla composizione. Aspetti evidenti nelle immagini scelte per la mostra veneziana, che questo scritto accompagna. Non appena Marco Parenti mi ha sottoposto le sue immagini, il pensiero è andato a William Eggleston, a Joel Meyerowitz, a certi New Topographics americani e naturalmente a Luigi Ghirri. Proprio quelle sono le sue figure di riferimento, scoperte nel corso degli anni, anche attraverso i suggerimenti di una persona conosciuta durante un viaggio, che lo ha avviato in questo ambito, spingendolo a vedere mostre e a consultare libri.

Prima i suoi maestri erano i classici, Henri Cartier-Bresson, Robert Doisneau, René Burri. Le nuove scoperte hanno stimolato la sua natura più autentica, in cui la composizione, il colore, l’ironia sono protagoniste.

Le sue non sono immagini rubate, scattate a raffica, dietro ognuna di esse c’è un pensiero, una volontà compositiva ben precisa, come quando, durante una Fashion Week di Milano, vede una ragazza a lato delle strisce pedonali. Ha le scarpe rosse, un abito nero, le gambe magre. Le chiede di spostarsi sulle strisce e click: la foto3 è fatta! Il giallo arancione e il rosso stanno benissimo insieme, il grigio dell’asfalto crea una sorta di contrasto. Sempre scarpe calzate, sempre durante la Fashion Week, mentre salgono le scale dell’Arengario a Milano, sono il soggetto di un’altra sua fotografia. Parenti l’ha scattata da sotto cogliendo il momento cruciale, durante il movimento in salita. In un’altra riesce a bloccare un giovane uomo, che ha la perfezione di un manichino, colpito da una lama di luce all’Armani Silos. Pochi elementi sottolineano un’eleganza prettamente italiana.

A Cuba coglie il dettaglio di un uomo con il braccio fuori dal finestrino della sua auto anni ’50. Macchina e maglietta sono dello stesso azzurro. La foto è ripresa da una finestra, a distanza, è un crop, non è il totale. Parenti ama osservare, guardare, trovare dei dettagli che lo colpiscano. La sua, tuttavia, non è una fotografia documentaria. Vi è una sorta di casualità che il fotografo rieduca e modifica solo parzialmente. La sua, sempre che sia utile trovare una definizione, è street photography in cui sono perlopiù narrate delle situazioni che hanno per protagonisti gli uomini e le loro tracce. Come nell’immagine dell’Alpe di Siusi, luogo ghirriano per eccellenza, con le persone in fila alla partenza dello skilift. È una sorta di serpentone colorato. Parenti è fermo in un rifugio e si trova a osservare questa situazione dalla quale rimane attratto, catturato. Il suo intervento è minimo, si limita a esaltare le tonalità: pare un’immagine degli anni ’80. Il grigio delle montagne è in aperto contrasto con i colori vivi delle tute colorate.

Vi è un divertimento di fondo. L’anno scorso, in Turchia, vede per strada uno strano oggetto, coperto da un telo a righe rosse e bianche. Sotto sono delle ruote: è una Volkswagen, ma è troppo alta per essere un’automobile. Che sia un camioncino, un Westfalia con un portapacchi posto sul tetto? Forse, ma Parenti è rimasto colpito da questa forma, non gli interessa svelarne la verità. I colori dialogano alla perfezione, il rosso si sposa con il colore del veicolo, il bianco con quello del paraurti4.

Una donna entra in una moschea, costruita recentemente ad Abu Dhabi, è il venerdì di preghiera: il richiamo è allo stile moresco classico. In un’altra foto scattata al Taj Mahal, scelta dal National Geographic come foto del giorno5, ci si trova di fronte a un’infilata di porte di colore rosso mattone, pare di trovarsi davanti alla prospettiva di un dipinto del Rinascimento italiano. È un vero e proprio sincretismo culturale. In fondo alle porte è la ruota di un carretto: il tempo è sospeso. Sempre in India, nella zona di Prayagraj (Allahbad) dove organizzano il Kumbh Mela6, da un pullmino scatta un’immagine in movimento. È mattina molto presto, soggetto è un calesse che si allontana sulla strada. I colori sono stupendi, l’atmosfera richiama l’epoca vittoriana.

Nel suo lavoro c’è qualcosa di cinematografico. In Cappadocia, in mezzo ai pinnacoli erosi dalle intemperie, è un’auto ferma. Una donna fuori da essa si rivolge a un uomo seduto nel posto di guida. È un’ambientazione nel nulla in cui non si capisce da dove sia sbucata la lunga macchina decapottabile.

Talvolta l’attrazione è nei confronti di situazioni assurde, come quando sulla sponda del lago Pangong in Ladakh, la regione più a nord dell’India tra il Pakistan e il Tibet cinese, il suo sguardo si sofferma sulla lunga riva su cui sono parcheggiate delle motorette Vespa e degli strani sedili a forma di seduta. Difficile decifrare. Apparentemente gli elementi non c’entrano l’uno con l’altro. La natura è silenziosa, pulita.

Come ogni street photographer Parenti gira sempre con la fotocamera a portata di mano. A Chicago immortala un altissimo parcheggio, di forma cilindrica, dove le auto sono parcheggiate al limite del vuoto. Quando qualcosa lo cattura, lo affascina, la macchina è sempre pronta. Spesso quello che conta è il colpo di fortuna.

A Marrakech tre donne di spalle, vestite con lunghi abiti di seta, colorati e dotati di cappuccio, sono intente ad aspettare il pane. Nessun ritocco, nessuna richiesta. È il colpo d’occhio, magari l’intervento arriva dopo, quando il fotografo modifica un po’ la saturazione per valorizzare la vividezza dell’immagine.

«Spesso mi hanno chiesto se quel mappamondo nella pozzanghera ce l’avevo messo io»7. Non è così, la sua è una straordinaria capacità di guardare, di cogliere al volo le situazioni che Georges Perec chiamava “infraordinarie”. Qui siamo al quartiere Kalsa di Palermo. Quel mappamondo probabilmente veniva utilizzato, come una palla, dai bambini che giocavano per strada.

In Turchia alcune donne musulmane, abbigliate e velate, immergono i piedi nell’acqua di un lago salato. Si divertono. È una situazione particolare che le trova finalmente libere.

In Madagascar c’è l’Avenue du Baobab con grandi alberi, che paiono delle sculture8. Parenti la fotografa appena dopo il tramonto esaltando la visione prospettica, razionale. Una tensione che, forse, gli viene dalla formazione scientifica. Le sue sono quasi sempre immagini silenziose. Un bovino è solo sulla riva di un’ampia pozza d’acqua, siamo nel parco nazionale dei Lençóis Maranhenses, una regione al nord del Brasile. I lençois sono pozze d’acqua piovana che si depositano negli avvallamenti di questa regione desertica.

Nelle sue foto vengono colte e sottolineate le situazioni minime, non ci sono orpelli di sorta. Così nel dettaglio del grattacielo di Tokyo in cui sulla facciata scorre una piattaforma che trasporta un uomo addetto alle pulizie dei vetri. Quello di Parenti è un lavoro umanistico, denso di significati ulteriori, che chi guarda è libero di cogliere a suo piacimento.

In mostra sono anche una serie di fotografie nostrane: la Riviera romagnola, nei pressi di Cervia, d’inverno. Vedute di spiagge, reti, piccoli cancelli, l’orizzonte, la spiaggia. Un’atmosfera ghirriana e felliniana – quella di Amarcord9 – al tempo stesso. La luce naturale fuori stagione ne esalta la dimensione metafisica. A una piccola altalena sulla spiaggia ha dato una spinta, giusto per sottolinearne il movimento. E quindi la festa degli aquiloni. Molti vengono montati sulla spiaggia per sfruttare il passaggio del vento, così nella struttura fotografata nell’immagine in mostra.

Un giorno, proprio mentre si recava sulla Riviera romagnola, Parenti decide di fermarsi a Modena, al Cimitero di San Cataldo, uno dei capolavori architettonici di Aldo Rossi. C’è una nebbiolina sottile, in fondo, nella congiunzione tra le due mura di cinta del cimitero, è una Fiat Panda bianca, vecchio modello, squadrato. È l’Italia di un paesaggio senza soluzione di continuità che va dal Friuli alla Calabria. La città è scomparsa. Anche qui la foto è di sapore ghirriano: richiama certi suoi paesaggi della Bassa Padana, ma anche una delle ultime fotografie scattate a Roncocesi, all’inizio del 1992, poco prima della sua scomparsa.

Quelle di Parenti, come già scritto, sono immagini del silenzio, della solitudine. Un’automobile lunga, prettamente americana, è parcheggiata accanto a uno spiazzante edificio, un prefabbricato per certi versi lezioso: rosa carne, azzurro e bianco. Siamo in Alaska, nel piccolo aeroporto di Gustavus, alla fine o all’inizio di quel mondo che Marco Parenti ha girato in lungo e in largo, per conoscere e per fare incetta di immagini. Due concetti che non sono poi così lontani. Walter Benjamin poco prima della sua morte, nel 1940, ha affermato, infatti, che l’analfabeta del futuro sarà colui che non sarà in grado di leggere le immagini.

1 G. Turroni, Nuova Fotografia Italiana, Schwarz editore, Milano, 1959.
2 Il padre e lo zio disegnavano molto bene, la zia per professione dipingeva su ceramica.
3 La foto è stata pubblicata su LFI Leica Fotografie International n°7, ottobre 2024.
4 La fotografia è stata esposta nella mostra Ultrabanale, Leica Galerie Milano (30/1 – 29/3/2025) a cura di Maurizio Beucci. Nella mostra era anche la fotografia con la ragazza sulle strisce pedonali. In realtà le due immagini di Marco Parenti sono tutt’altro che banali.
5 Foto del giorno del National Geographic il 12 aprile 2014.
6 Il Kumbh Mela è una festa che si svolge ogni 12 anni in India alla quale partecipano milioni di pellegrini hindu, che si ritrovano per immergersi nel punto di convergenza di tre fiumi sacri, il Gange, lo Yamuna e il mitologico Saraswati.
7 M. Parenti in conversazione con chi scrive, Milano, aprile 2025.
8 Anche questa foto si è piazzata bene in un concorso fotografico.
9 Amarcord, film diretto da Federico Fellini nel 1973.

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